Lavoro precario? ma qui siamo in Italia

lavoro precario

Pubblico un articolo su Wired parlando di lavoro precario.

Succede il finimondo. Finiscono per darmi del “virus”, “radical chic” e “irresponsabile”.

Ok sull’irresponsabile, ma radical chic non me l’aveva mai detto nessuno.

Ad ogni modo grazie a questo post ho imparato due cose.

La prima.

Qui i problemi non finiscono mai.

Che se vai all’estero non è giusto perché sei italiano. E allora stai in italia.

Che in Italia il sistema non funziona. E allora cambia il sistema.

Che il sistema sono loro, non siamo noi. E allora accetta la situazione.

Che no perché non posso comprare una casa. E non te la comprare.

Che io come faccio a pensare al mio futuro.

E porcapaletta che ne so.

Partecipare a Sarabanda sarebbe meno stressante. Fanno ancora Sarabanda? Vabbè, insomma.

lavoro precario

La seconda lezione.

Proponi un’idea e dici “dai facciamo così“.

E dall’altra parte un ragazzo o una ragazza dai venti ai trenta, non un operaio, non qualcuno licenziato in tronco, insomma gente che t’immagini avere voglia di fare cose nuove, dice: “Ma qui siamo in Italia“.

Non dice: “Non si può fare per questo problema.”

La frase “Ma qui siamo in Italia” ha su di me un effetto paralizzante come neanche il peggior veleno di un serpente.

Ma come “Qui siamo in Italia”.

Qui siamo io e te.

Dimmi che sei stanco, che hai lasciato il gas aperto, che è dura, dimmi qualunque cosa. Ma non voglio credere che alla tua età tu abbia già rinunciato a cambiare le cose.

Perché “Qui” non è l’Italia.

“Qui” è la mia e la tua testa.

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30 Comments on "Lavoro precario? ma qui siamo in Italia"

  1. Lauryn says:

    esatto, è la testa della gente che non si riesce a cambiare…il “qui siamo in italia” sta proprio a significare quello. solo che se non cambiamo noi che ne parliamo come possono cambiare gli altri?

    cmnq, il lavoro “dinamico” esiste già, chiamiamolo precario, boh, fatto sta che a differenza dell’estero non abbiamo “tutele” se tutele esistono, o perlomeno non abbiamo la possibilità di mettere da parte per i tempi di magra, come si farebbe immagino altrove, perchè le paghe sono basse. per fortuna ho letto che la riforma che stanno preparando andrà proprio in questa direzione: vuoi tenere un professionista per poco tempo? allora devi pagarlo come tale e non come meno di un operaio! oppure lo assumi. se davvero si realizzasse questo meccanismo saremmo già un passo avanti…

  2. Valentina says:

    ..non puo’ esserci giustificazione alla rassegnazione di un ventenne.. l’ho scritto anch’io, mi trovi d’accordissimo.
    Scegli meglio chi avere d’all’altra parte Luca! :)

  3. Anna says:

    Luca….grazie a cielo c’è qualche raro cervello che la pensa come te/me/noi. Da questa mattina mi sento un pò meno sola!

  4. Valentina says:

    Io non ci voglio credere che stiamo messi così!
    Credo che ognuno di noi nel suo piccolo ha il potere di cambiare le cose e non è piangendoci addosso e lamentandoci tutto il giorno delle cose che non vanno che si può migliorare, rimbocchiamoci le maniche e iniziamo a pretendere quello che ci spetta di diritto! è troppo comodo lamentarsi dell’Italia, del sistema… solo e sempre degli altri e non proporre mai nulla, siamo davvero una generazione di disperati senza sogni???
    Io non mi rassegno!

  5. Silvia says:

    Caro Luca,
    Capisco perfettamente la tua incredula amarezza.

    Personalmente ho smesso di cercar confronti a 360°, ma cerco di galoppare con quelli che mi sembrano essere i miei simili riguardo un obiettivo specifico. E’ un po’ snervante e sterile, altrimenti.

    Cambiando argomento. Io sto aprendo diverse vie e, spero, sto cercando di ridiscutere tanti aspetti della mia vita e del mio modo di lavorare e vivere le relazioni. Anche io contaminata (positivamente secondo me) da alcue esperienze all’estero, vorrei di cuore sposare sempre più intensamente un certo stile di vita più da “surfer”.

    In questo momento sono un po’ con il piatto troppo pieno e non ho grandi spiragli di tempo e di testa (ho imparato dall’estero che se hai un sogno incompiuto e vuoi fare una seconda laurea che ti completi come essere umano, nel contempo lavorando, mantenedoti ed essendo pienamente autonoma, forse un po’ stanca, ma più realizzata e felice SI PUO’ FARE! Ora sono verso la fine…ultimi esami e la tesi…puf puf!), però mi piace espolorare cose nuove e persone un po’ pioniere. Dunque, se passi da Milano e hai voglia di pigliarti un caffè e farti due chiacchiere, mi fa piacere…che magari si lancia il sasso per qualche progetto interessante da proiettare nel futuro, chissà…

    Intanto, teniamo duro!
    La vita del “cane sciolto” ogni tanto è un po’ difficile. Ma ne vale la pena.
    Buona giornata

  6. Jose says:

    Ciao.

    Ma non sono matto!!!! ci sono altri che la pensano como me!!!
    Io, straniero, quando lo dico me vedono come dicendo “ma tu non conosci ancora la’Italia”… Quando dico che in America, dove vivono il mio zio e il mio fratello, c’è anche burocrazia e che dipende della regione la tassa può essere anche molto alta, me vedono come si fuose matto.
    Bell articolo. In boca al lupo.

  7. nando says:

    ciao luca, complimenti per il bellissimo articolo pubblicato la scorsa settimana su wired e anche per questa risposta che hai voluto dare a chi ti aveva commentato in modo piuttosto rassegnato. sempre sulla stessa scia di pensiero volevo segnalarti l’articolo di antonio lupetti pubblicato ieri, sono certo ti piacerà :)

  8. Nik says:

    Mah…. Che il mondo del lavoro sia cambiato, è palese. Ma accettare allegramente di doversi arrabattare giorno dopo giorno è desolante tanto quanto dire “eh ma qui siamo in Italia”

  9. Luca says:

    Con tutto il rispetto, Luca: mi pare che tu confonda – come accade su buona parte delle grandi testate d’informazione italiane – i termini e i piani di questa enorme discussione: non c’è in gioco l’idea o l’esistenza del ‘posto fisso’, espressione che fra l’altro richiama alla mente una staticità monolitica che spesso poco o nulla ha a che fare con l’effettivo impiego di una persona, ma di diritti minimi, di tutela di tutti quanti i cittadini. Trovo il tuo articolo su Wired viziato da una certa autoreferenzialità, come se tutti ci occupassimo di comunicazione, o fossimo giovani startupper. Parli sempre di “io”, oggi in Italia in tanti e forse per la prima volta da molto tempo, giovani generazioni provano a parlare di “noi”. Posso anche essere d’accordo sui tuoi appunti alla diffusa disillusione (ma invece di biasimarla solo, proviamo a cercarne i motivi).
    C’è molto più di un modello di business sul tavolo, c’è in gioco un’idea di società.

    • admin says:

      Ciao Luca, capisco molto bene il tuo punto e sono d’accordo con te.
      Certo, ho pubblicato su Wired e mi aspetto di trovare dall’altra parte gente che con startup e tecnologia abbia a che fare. Non avrei pubblicato un articolo del genere su “Famiglia Cristiana”, ecco :)
      Sui motivi di una disillusione palpabile, la mia risposta è: cultura. Qui si usa avere questo atteggiamento, così come ne ho visto un altro in Inghilterra e un altro ancora a San Francisco, un atteggiamento trasversale su tutte le classi sociali.
      Se pensi invece ci siano dei motivi oggettivi per cui succede questo, dimmi pure.

      • Luca says:

        La cultura senza dubbio. Ma io citerei anche l’ormai celebre familismo amorale, l’individualismo, la gerontocrazia, l’insulto – talmente frequente da essere sistematico – ai giovani travestito da lezione di vita (in questo senso l’uscita del ministro Cancellieri è solo l’ultimo pezzo da collezione di una tradizione politicamente trasversale), e un concetto di meritocrazia che premia l’omologazione e nei peggiori casi il servilismo. Non ne ho citati nemmeno la metà, probabilmente, ma converrai che, per lo meno per un ragazzo che vive in Italia e che non si è mai confrontato con l’estero, c’è n’è abbastanza per scoraggiarsi :-)

        • Silvia says:

          Confermo: molto servilismo, mancanza di meritocrazia, mafia palpabile, crescita professionale degli “yes man” a discapito di menti più critiche e potenzialmente innovative; ambienti chiusi, nei quali è difficile entrate e, quando ci sei, difficilmente trovi il coraggio di contrariare il clima di compiacenza verso il capo e di competizione tra colleghi con cui vige una silente “gara a chi esce per ultimo dall’ufficio”. Tutti elementi molto diffusi e tutti motivi per scappare da certi ambienti. Il problema è che quando ti ci trovi, dentro a certi ambienti, scambi la parte per il tutto e pensi che tutto il tuo paese sia così. Patisci, ma non ti rendi parte attiva di un processo virtuoso di pensiero critico e di cambiamento.
          Ma l’Italia non è tutta così. Ci sono ambienti sani e stimolanti. Persone capaci con le quale è possibile confrontarsi ed esporsi. Persone con le quali si riesce a costruire qualcosa.
          Sta a noi avere la forza di intessere tessuti di relazioni stimolanti e LASCIARE CERTI AMBIENTI PASSIVI. Guardarsi in giro. Passi lunghi e ben distesi. Basta restare passivi.
          Certo, in alcuni casi questo può essere un processo difficile e faticoso.
          Ma finché si accetta supinamente crogiolandosi in un rassicurante “tanto l’Italia è tutta così” non se ne caverà un ragno dal buco.
          Naturalmente è solo la mia opinione.
          In fin dei conti ciascuno riporta solo la propria esperienza.

  10. Mario says:

    Ciao Luca, sto seguendo con interesse questo tuo dibattito sul lavoro precario. Come forse ho già sottolineato ad un certo punto della vita delle scelte non sono solo nostre. Il sistema ci ha fatto pensare ad un futuro fatto in un determinato modo, che per un motivo o per l’altro non siamo riusciti a fotografare in modo diverso.
    So solo che se avessi scoperto prima che c’è un sacco di gente come te che crede davvero in quello che fa, forse oggi non avrei fatto le stesse scelte.
    Forse non sarei dove sono. Forse non avrei un lavoro quasi-fisso. Forse scriverei sul blog in un altra lingua ;-)
    Tieni duro.

    • admin says:

      Le scelte non sono solo nostre perché condizioniamo e siamo condizionati dalla società in cui viviamo.
      Ma noi siamo in grado di decidere dov’è il limite tra le due cose.

    • admin says:

      Grazie Mario. In bocca al lupo!

  11. Nicholas says:

    Purtroppo il mito del lavoro fisso ci e’ stato inculcato fin dalla tenera eta’…”compra casa”, “metti su famiglia”, “trova il lavoro a tempo indeterminato prima dei 30 anni” ecc…
    Sicuramente tutto cio’ poteva andar bene 10 anni fa’ ma oramai la societa’ e’ cambiata. Internet ci ha rivoluzionato la vita, che ci piaccia o no. E come ogni cosa ci sono sempre i pro e i contro. Intanto un gran vantaggio e’ il non essere piu’ legati a luoghi e orari. E non e’ poco. Poi se per loro significa non lavorare, allora non lavoriamo. Penseremo a coniare una nuova parola per descrivere questa attivita’. Il mio prof. di Sociologia del Lavoro lo chiamava “ozio creativo”.
    Comunque, Il problema e’ che il nostro sistema e’ ancora guidato da persone, da questo punto di vista, molto arretrate. C’e’ troppa paura del “nuovo” e si cercano le sicurezze. Ma adesso che non ci sono piu’ le sicurezze tutto va in stallo ed il cambiamento diventa indispensabile.

  12. Laydo says:

    Se qualcuno rimane in italia i casi sono questi:

    A) E’ un figlio di papà col lavoro trovato grazie a “conoscenze” e “amicizie”
    B) E’ troppo giovane, troppo vecchio o troppo povero per potersene andare.
    C) E’proprio cretino

    Scegli…

  13. Luca says:

    Io penso che la verita’ stia nel mezzo. Breve intro su di me: dopo la laurea in Italia sono andato a vivere e lavorare per 7 anni in USA, sono tornato in Italia dove in 6 mesi non ho trovato lavoro e ora lavoro a Londra (da un anno). Quindi conosco bene la mentalita’ dei giovani all’estero.
    Noi Italiani non amiamo il rischio, desideriamo/pretendiamo il posto fisso, magari nella stessa citta’ in cui siamo nati e cresciuti. E siamo mammoni, mi spiace dirlo ma e’ cosi’ e anche il sottoscritto si e’ comportato da mammone fino a circa 28 anni. In USA ad esempio i ragazzi gia a 16 anni per potersi comprare una macchina usata o farsi un weekend con gli amici non chiedono soldi ai genitori ma fanno qualche lavoretto come babysitter (anche i ragazzini lo fanno) o come cassieri nei negozi. A 18 anni i ragazzi vengono buttati fuori dai genitori che non stanno a pensare che in futuro daranno la loro casa ai propri figli. No, i figli devono trovare la loro strada e raramente i genitori gli pagano le spese universitarie. Vuoi andare all’universita’? Bene, chiedi un prestito alla banca che ripagherai appena inizierai a lavorare. E fanno tutti cosi’. Le banche i soldi per college costosi te li prestano senza troppi problemi perche’ sanno che poi una volta laureato troverai un buon lavoro e potrai pagare tutto con gli interessi. E moltissimi studiano e lavorano.
    Ora facciamoci un’esame di coscienza, quanti di noi Italiani cercano lavoretti a 16 anni per non doverli chiedere ai genitori? Quanti di noi ragazzi italiani ci paghiamo le spese universitarie non facendoci mantenere dai genitori? Quanti di noi ragazzi italiani studiano all’universita’ e lavorano allo stesso tempo?
    Ora voi mi direte: si ma in Italia non c’e’ lavoro. Beh un po’ e’ vero. I datori di lavoro poi…non sanno cosa e’ la meritocrazia. Preferiscono cambiare dipendenti ogni 6 mesi invece di tenerne uno in gamba, invece di dargli aumenti e tutele…risparmiano due euro ma l’azienda non cresce e infatti non investono mai su innovazione e ricerca, hanno una mentalita’ in difesa, non “all’attacco” come in USA.
    Ok tutto questo e’ vero PERO’…dovremmo cambiare anche noi il nostro atteggiamento e non lamentarci sempre contro questo strano essere tentacolare che chiamate Sistema. Il sistema siamo anche noi e possiamo cambiarlo.

  14. Laydo says:

    “Il sistema siamo noi” è una idiozia unica. Io, personalmente, non comando nulla, per quanto possa cambiare le mie idee le cose in Italia continuano a funzionare allo stesso modo. Questo discorso devi farlo a quelli di Confindustria, non ai privati cittadini. Sul serio, cosa potevo cambiare quando ero in italia e facevo il dipendente tramite agenzie interinali, senza nessun potere contrattuale e senza nessuna rappresentanza sindacale? Ora vivo all’estero, ma sarei davvero curioso di sapere cosa si intende dire con “il sistema siamo noi”.

  15. Luca says:

    Laydo, non penso che il sistema siamo noi sia un’idiozia. Quello che voglio dire e’ che dobbiamo anche cambiare atteggiamento. C’e’ gente che aspetta sempre aiuti dallo stato, non rischiano se non ci sono fondi e sussidi. In USA la gente si ipoteca anche la casa per poter aprire un’attivita’, Per il sistema siamo noi intendo che anche in un Paese come l’Italia con impegno e voglia di rischiare si puo’ evitare di farsi schiacciare dal “sistema”. Poi possiamo continuare a lamentarci e aspettare che il sistema cambi all’improvviso. Ma non c’e’ un deux ex machina, il sistema lo cambiamo dal basso, cambiando tutti noi la nostra mentalita’.

  16. Fabio says:

    Le tue riflessioni mi hanno colpito: molto interessanti! Ho già aggiunto il tuo blog al mio feed reader! :-)

  17. Christian says:

    Ciao Luca,
    ti leggo sempre con piacere, perché scrivi bene e perché scrivi giusto.
    Condivido il fatto che il lavoro è finito (o meglio è cambiato) e in Italia non lo abbiamo ancora capito…
    Condivido in pieno il fatto di stimolare (tutti, giovani e meno giovani) a pensarlo in modo differente.
    Che la vita si debba svolgere in un raggio di 50km da dove sei nato, non esiste più.
    Che il lavoro (quello del mondo dei servizi…) sia fisso, immutabile e “sicuro” non esiste più.

    Il tuo discorso quindi è perfetto per i giovani (dai 20 ai 30 anni), ma lo è molto meno per i 30-40 enni (oltre i 40, dobbiamo renderci conto che è davvero difficile rimettersi in discussione…): qui scattano altri meccanismi, e costruirsi una famiglia è una prerogativa dell’essere umano, il proseguimento della specie se preferisci.
    E per costruire una famiglia e potergli garantire un presente (e poi un futuro…), DEVI avere stabilità economica.
    Anche solo psicologicamente, sai che non sei più da solo a doverti arrabattare se succede qualcosa. E tu puoi anche pensare di fare couch-surfing, ma tuo figlio di 3 anni no…

    Quindi la sottile differenza tra quello che tu dici e la realtà, è che a parità di impostazione mentale, dopo i 30-35 anni le cose cambiano un po’ e non si può continuare a vivere “all’avventura”, ma bisogna cercare di organizzare le attività professionali in modo più continuativo e anche urbanisticamente devi fermarti da qualche parte (pensa solo alla scuola).

    Io ho 39 anni, due anni fa mi sono licenziato e sono diventato un free-lance della Comunicazione. E oggi mi appresto a compiere un ulteriore passo cercando di capire come posso fare l’imprenditore di me stesso, ma all’estero.
    Ho bisogno di questo cambiamento, perché da un lato qui fatico ad arrivare a fine mese (tra l’imprenditore che non paga e quello che non capisce…), e dall’altro perché mi sento “incompleto” nel fare il mio mestiere con un approccio solo italiano… mi sembra di buttare via il tempo che mi è professionalmente concesso per riuscire a realizzarmi.

    Ma ti assicuro che prima di esporre una famiglia di 4 persone alle intemperie economiche di una professione ondivaga, ci penso davvero bene… perché è mio dovere pensare al nucleo familiare e non solo a me stesso.

    Però ai miei figli cerco di insegnare ogni giorno a “pensare in modo polivalente”.
    Se sei statico, sei morto.

    • admin says:

      Ciao Christian, ottima analisi.
      Col mio blog mi rivolgo principalmente alla mia generazione e un po’ a quella successiva. E poi incrocio in modo trasversale i desideri di chi sta attraversando un periodo di cambiamento. Per il resto, mi rendo conto di non essere di grande aiuto, anzi, forse questo modo di pensare è il problema principale di chi ha una certa età e non riesce più a cambiare direzione.
      Poi ci sono casi come i tuoi che, a 39 anni, fanno comunque queste scelte così importanti. Quindi complimenti per il coraggio e in bocca al lupo!

  18. megliodiniente says:

    Ciao Luca, poco tempo fa ho iniziato a leggere il libro di T. Harv Eker “i segreti della mente milionaria” dove in ogni capitolo spiega l’approccio dei ricchi e dei poveri di fronte a situazioni di vita quotidiana lavorativa e non. Bè tra una di queste c’è proprio la seconda lezione che hai imparato tu.

    Il ricco di fronte ad un problema si chiede: Come posso risolverlo?
    Mentre il povero si chiede: Ma perchè è successo proprio a me?

    Ora non ho il libro sotto mano ma il concetto è quello che si intende nell’articolo. Secondo me il fatto di dire: Ma siamo in Italia, è diventata una scusa per non provare, per paura di fallire. Invece è proprio l’opposto che si deve fare, provare e riprovare e credere in quello che si fa e non fermarsi d’avanti a niente. “Punta alla luna, se la manchi raggiungerai comunque le stelle..” soprattutto se si è giovani.

    Per i più grandi, come dici tu Christian, è un rischio maggiore, sono d’accordo con te, e comunque hai già fatto un importante cambiamento che non è da tutti. In bocca al lupo per il prossimo e non mollare!

  19. LaAlex says:

    Ciao Luca, ho letto ora il tuo articolo su wired e, devo dire, lo trovo molto interessante. Capisco il tuo punto di vista e lo condivido appieno, sotto certi aspetti.
    Chi ti definisce “virus” forse non ha ben chiaro il significato del termine: un virus danneggia, tu porti idee dall’estero qui in Italia, che non è esattamente una cosa dannosa, nè per noi nè per i paesi in da cui attingi innovazione, anzi!
    Per questo concordo anche con Christian, è una realtà di fatto che per la generazione di chi oggi ha 30/40 anni è più difficile (non impossibile) cambiare e/o trovare lavoro: a vent’anni le aziende ti cercano e per loro sei un’appetibile risorsa, dopo i 30 spesso le porte si chiudo e non tutti possiamo essere imprenditori, freelance o liberi professionisti. Non serve a nulla piangersi addosso, ma non serve neanche puntare il dito contro chi sente la difficolà del cambiamento o far finta che “qui non siamo in italia”. La differenza fra i 20 e 30/40 anni c’è purtroppo (o per fortuna), so com’ero a vent’anni e so come sono oggi, proprio per questo posso paragonare e ti assicuro che per quanto si abbia e si senta la voglia di cambiare e di migliorarsi, le difficoltà aumentano.

  20. rob says:

    Stavo per farti un pistolotto epocale sul tema “tengo famiglia, le startup me le do in faccia” ma per tua fortuna il post di christian poco più su mi ha risparmiato la fatica. Il discorso che fai va benissimo per quelli che chiamo “cani sciolti” (per i quali la prospettiva di essere spediti 5 mesi a Dubai è un’opportunità), ma chi ha qualche anno in più e una famiglia sulle spalle – la cui sopravvivenza dipende proprio da uno stipendio fisso – a Dubai proprio non ci può andare.

    • admin says:

      Ciao Rob, penso sia un modo di vivere più che una cosa legata all’età o alla famiglia. Ho conosciuto freelance, viaggiatori e imprenditori con famiglia e in là con gli anni.
      Ad ogni modo nel post faccio riferimento esplicito ai ragazzi tra i venti e i trenta e al loro modo di essere così disillusi già alla loro età.

  21. rob says:

    li ho visti anche io i manager coi figli piccoli che continuano a girare ovunque e manco sanno quand’è il compleanno dei loro bambini. Uno addirittura si prese un giorno di ferie per passare l’intera giornata col figlio, una roba così triste non pensavo di riuscire a vederla.

  22. rob says:

    (cmq, per il resto, ti do abbastanza ragione, 10 minuti fa ho detto ad una mia amica quasi trentenne e molto disillusa che le rimane giusto di emigrare, ed ero serissimo)